LA CONFRATERNITA DEI DISCIPLINI
Il movimento religioso popolare dei “flagellanti”, detti Bianchi, percorse l’Italia del 1399. Essi, gridando “Pace e misericordia” e flagellandosi in segno di penitenza, andavano completamente vestiti di bianco; e quindi la denominazione del moto penitenziale, e percorrevano strade e piazze seguendo il Crocifisso e anelavano alla rappacificazione degli animi, in quei secoli di odio e di guerre fratricide.
A Bergamo, il 9 agosto dello stesso anno si ebbe una di queste manifestazioni; ma la peste dell’anno seguente, anno giubilare 1400, flagellando spietatamente le nostre contrade, travolse il movimento penitenziale. Del moto restò un pallido ricordo nei “ gonfaloni “, nei vestiti, nelle laudi e negli affreschi giunti fino a noi.
Questo movimento riecheggiava quello più antico dei “ disciplinati “dei disciplini” dall’uso che i membri facevano della “ disciplina o flagello”.
La nostra confraternita, sorta nel secolo XV, riunì e fuse lo spirito dei “disciplinati” ed il costume dei “bianchi” trasformandolo ed adattandolo al modello dell’Arciconfraternita di Roma, che aveva lo stesso titolo “del Gonfalone”. Ad essa avevano il diritto di aggregarsi tutte le altre confraternite, dopo aver ottenuto un indulto pontificio che portava seco di regola la comunicazione di tutte le indulgenze, dei privilegi dell’ente aggregante, lasciando tuttavia alla confraternita locale tutta la sua libertà.
Per comprendere quale fosse la struttura organizzativa della nostra, basta scorrere i 20 capitoli della << regola nella quale si contengono in compendio tutti i principali statuti e costituzioni con le quali si governa la Confraternita del Gonfalone della terra di Palazzolo >> stampata in Milano nel 1758 e composta di 40 pagine.
CERIMONIA DI AMMISSIONE DEI NOVIZI
Coloro che, mossi dal desiderio di dedicarsi a opere di pietà e di partecipate alle grazie spirituali concesse dai Sommi Pontefici alla Confraternita, volevano entrare a farne parte, dovevano farne richiesta scritta e, dopo l’accertamento delle loro qualità morali e della buona fama, potevano esservi ammessi con una cerimonia che aveva questo svolgimento. I novizi “verranno in giorno di festa (nella Chiesa della Confraternita che, come vedremo era dedicata a S. Francesco).
Quindi si canta l’Ufficio, portando seco il sacco (o vestito) con una candela bianca che deporranno sull’altare. Quindi i maestri de Novizi li condurranno fuori dalla chiesa e intanto il coro intonerà il salmo “miserere”; giunti al versetto Domine labia mea aperies essi entreranno in chiesa e andranno ad inginocchiarsi davanti all’altare dove il Cappellano, vestito con cotta e stola, vestirà i novizi dicendo le orazioni adatte che sono contenute nel solito libro (rituale). Vestiti i novizi il coro intonerà il Veni Creator Spiritus e al versetto Accende lumen accenderanno le candele e il Cappellano le darà loro in mano ed essi le terranno accese fino alla fine dell’inno. Quindi verrà loro data la pace mentre si canterà il Te Deum. Alla fine verranno assegnati ai nuovi membri i loro posti in chiesa e così avrà termine la funzione con indulgenza plenaria per gli ammessi.
L’ABITO
L’abito a cui si fa cenno era un sacco di tela bianca, con il suo cappuccio e un cordone di un filo bianco da legarsi alla cintola. Tale cordone pendeva fino a terra dalla parte destra e vi era attaccata una frusta, o disciplina, sempre bianca. Inoltre sempre sulla destra era attaccata una corona (detta di S. Bonaventura) e sul petto uno scudetto con una croce di color bianco e rosso in campo turchino, come era in uso in altre confraternite dello stesso tipo della nostra.
Alla confraternita erano ammesse anche le donne col nome di sorelle e venivano, come i fratelli iscritte nell’apposito libro con una cerimonia molto semplice: benedizione da parte del Cappellano e consegna di una candela da parte di una novizia.
OBBLIGHI DEI FRATELLI E SORELLE
Ogni domenica e festa comandata, indossato il loro abito, i membri della congregazione si riunivano nella loro chiesetta a recitare l’Ufficio della Madonna e assistere alla Messa e alle altre funzioni che vi si celebravano.
Durante la quaresima ogni era erano invitati a cantare i Sette Salmi Penitenziali con le Litanie e le Preci. Ogni ultima domenica di ciascun mese, oltre all’ufficio solito, recitavano i tre notturni e le Lodi dell’ufficio dei defunti per tutti i benefattori della confraternita. Cosi il giorno 2 novembre cantavano tutto intero l’Ufficio dei morti.
Quando un membro veniva a morire tutti erano tenuti a ricordarlo sia colle funzioni speciali in chiesa, sia con preghiere personali. A richiesta dei parenti defunti, anche non appartenenti alla Congregazione, i Confratelli partecipavano ai funerali vestiti col loro abito, ricevendo, se il defunto era ricco, il solito tributo di cera, se era povero, nulla. Alle sorelle era poi affidato l’incarico di visitare gli infermi, soccorrere i bisognosi e tenere in ordine la chiesa.
Molte erano le indulgenze concesse per tutte queste pratiche di pietà, onde alla fine del cap. XX della regola si legge: “ora, di tutto questo ne sono a parte tutti i Fratelli e Sorelle che sono, e che saranno del gonfalone; e però chi de fedeli non si farà capitale d’un tal tesoro? Tutti invero. Cerchi dunque di entrar in tale confraternita, se brama , con poca fatica, farsi ricco dè beni altrui, mentre con tal partecipazione e fratellanza diverrà grande di merito, appresso Dio su questa terra e più grande di gloria avanti lui lassù in cielo”.
La sede della Confraternita era la chiesetta, od oratorio, dedicata a S. Francesco. Nei documenti della visita di San Carlo (1580) è scritto che la chiesetta è unito alla chiesa parrocchiale, piccola e indecorosa; ad una sola navata a volta, aveva un unico altare di legno. Sopra la chiesa c’era una stanzetta nella quale abitava il predicatore che veniva a Palazzolo a tenere i Quaresimali, allora così di moda. Sopra la porta d’ingresso c’era un’altra stanza, o saletta, con un grande camino, nella quale i confratelli si riunivano per recitare l’Ufficio della Beata Vergine e qualche volta vi si celebrava la Santa Messa.
Il visitatore apostolico prescrisse che l’altare fosse rifatto in pietra, che si dotasse la chiesa di più idonei paramenti e gli scolari (disciplini) non lasciassero più usare la stanza al predicatore e la stanza del camino non fosse più utilizzata per celebrarvi la messa. Ordinò anche che le finestre dalle quali si guardava in chiesa fossero tolte.
Nei secoli successivi la chiesa subì trasformazioni e abbellimenti: i suoi altari salirono a tre e fu arricchita di mobili e di suppellettili dai membri della confraternita. Nelle sue “Memorie patrie” della fine 700 il Rosa scrive a proposito di questa chiesa e dei membri della confraternita:
“l’oratorio di S.Francesco, oppure come generalmente si chiama la Disciplina o l’Oratorio della B.V. del Gonfalone, è una chiesa antica attaccata al coro della vecchia parrocchiale da una parte e al cimitero comune dall’altra.
In essa vi sono diversi sepolcri della comunità e qualche altro: locchè unitamente alla vecchia seriosa di Chiari che più alta del suo piano bagna il muro del suo coro, fa di questa chiesa un luogo umido, malinconico e malsano. Non resta però di essere arricchita di mobili ragguardevoli e preziosi da suoi divoti confratelli, Disciplini, detti del Gonfalone.
Questi hanno anzianità sopra quelli del Suffragio ; ed il loro istituto è di accompagnare e portare alla sepoltura tutti i morti indistintamente.
Per questo San Carlo nella sua visita li fece vestire di nero, ma essi in seguito si rivestirono di bianco, ed ora non vanno che a funerali de’ loro confratelli o dove ricevono contribuzione. Lo stesso è anche di quelli sopradetti del Suffragio.
Sicché gli uni e gli altri sono molto lungi dalla cristiana carità fraterna, si urtano ed impuntigliano spesso reciprocamente, e quel che è peggio, distraggono il concorso della parrocchiale colle loro inutili funzioni, ed impediscono infinitamente il buon esempio, la dovuta ubbidienza e devozione. Questa chiesa contiene tre altari, uno della Madonna e de santi Bernardo e Francesco, il secondo di san Francesco Saverio, il terzo di san Giuseppe. Vi si celebrano circa messe altrettante come nel suddetto suffragio (1200 messe all’anno”.
Come si vede il giudizio del Rosa non è affatto benevolo nei confronti della confraternita e dei suoi membri, i quali appartenevano, per la maggior parte, alle famiglie benestanti e si mostravano preoccupati più delle sorti della Congregazione che di quelle della parrocchia. Egli stesso, da ragazzo, partecipò alcune volte alle funzioni in detta chiesetta, ricevendo dei rimproveri dal padre che disapprovava il particolarismo e la concorrenza che queste confraternite si facevano.
Il governo rivoluzionario, succeduto nel 1797 alla cessata Repubblica veneta e chiamato Governo Provvisorio Bresciano, con decreto del 30 Settembre 1797 deliberava la soppressione di tutte le confraternite e discipline esistenti nella provincia di Brescia e il 3 ottobre successivo anche la nostra antica confraternita del gonfalone veniva soppressa ed i suoi beni, divenuti nazionali, finirono per essere usati dal Comune per far fronte alle spese dell’istruzione pubblica. La chiesa passata nelle mani della comunità a seguito del decreto di Eugenio Napoleone del 1806 continuò ad essere usata come luogo sacro, tenendovisi il catechismo delle fanciulle. Ben presto, però, si pensò di trasformarla ad uso profano ed allora la fabbriceria con sua lettera del 10 ottobre 1810 scriveva al delegato per il culto in Chiari questa lettera: “Credesi in dovere questa Fabbriceria, unitamente col rev. Arciprete, di partecipare a V.s.M.r. che i capi di questa comune vogliono prevalersi della soppressa Confraternita del gonfalone, in cui si esercita l’opera della Dottrina Cristiana alle ragazze, e convertirla in caserma o quartiere dei soldati. Ciò le serva di regola. Si protestano colla solita stima e rispetto “. Purtroppo i “si dice” diverranno realtà e, ad onta delle proteste della Fabbriceria e dell’arciprete, il comune avviò le pratiche per trasformare la chiesa in caserma militare.
Il capomastro Antonio Manna, fece una perizia di spesa di L. 225 e prospettò l’idea che nello stabile si potessero ospitare almeno duecento persone, ed occorrendo altre 160, mediante la costruzione di un soffittone a metà dell’altezza della chiesa.
L’appalto toccò a G.Maria Lanzini che aveva concesso uno sconto di L. 25. i lavori di trasformazione iniziarono il 12 novembre 1813 e dopo venti giorni l’operazione era terminata.
Le vicissitudini del locale non erano ancora finite. Infatti, cambiati i tempi e le necessità, la caserma rimase inutilizzata onde nel 1869 in Consiglio Comunale la cedette alle Società del Teatro Sociale per costruirvi un nuovo ambiente per gli spettacoli teatrali.
La chiesa aveva sopra la volta dell’abside un campanile che era in precarie condizioni di stabilità. Allora intervenne un compromesso tra la società del Teatro e la Fabbriceria per la demolizione di tale campanile e la costruzione di uno nuovo su un angolo della chiesa vecchia.
Le due campane furono temporaneamente collocate su delle impalcature di legno e il campanile, dopo alcune controversie circa la posizione e le dimensioni, venne ricostruito, nel 1870, sull’angolo a mezzodì della chiesa, utilizzando la vecchissima scala a chiocciola che permetteva, nel medioevo, di salire sul “toracium horarum”.
Passando ancora oggi sulla via torre del Popolo è possibile distinguere l’andamento del tetto a campana della vecchia chiesa e gli spigoli verso nord risalenti al 500.
Ora anche il Teatro Sociale sta andando in rovina, a meno che, memori dell’antichità del luogo e delle reliquie storiche che esso contiene, si ponga mano al suo restauro per salvare dalla rovina almeno quest’ultima costruzione sovrapposta alla vecchia chiesa di San Francesco.
La Semente, 1 ottobre 1967