Le calcine, dai prati al quartiere
pubblicato il: 01/06/1968
da: Parrocchia s.cuore
Scarica il documento:
le-calcine.doc

Le Calcine (1800-1968)dai prati al quartiere

Sulla “Mappa del Comune di Palazzolo” disegnata negli anni 1830-39 (detta di Maria Teresa) il nome “Calcine” è segnato per quattro volte negli spazi vuoti attorno a due ben delimitati nuclei abitati, composti da poco più di una dozzina di case e cascine, che sorgevano in due posizioni poco distanti l’una dall’altra: un gruppo attorno al ponte sulla Fusia presso la chiesetta della Madonna di Loreto, un altro all’altezza del ponte posto all’incrocio della Via Calci colla strada diretta verso S. Pancrazio ed Adro.

Una rara fotografia, che penso debba essere stata scattata intorno al 1880, ci conferma quanto appare dalla Mappa e ci presenta una vasta estensione di terreni, delimitati da alberi, coltivati variamente, attraversati da due arterie principali: una proveniente dalla Riva e un’altra dalla Piazza.

A quel tempo le “Calcine” erano nettamente separate dal resto del paese e le strade comunali e vicinali non erano certamente così numerose come lo sono oggi. Le due strade sopra accennate erano chiamate: Strada Comunale per S. Pancrazio e Adro (oggi via Zanardelli, Marconi, S. Pancrazio) e Via detta dell’Ospitale e del Rüss (oggi Via Sgrazzuti), da esse si dipartivano: la strada comunale della Roncaglia e Levadello, la strada comunale per l’Albarello (ora Attiraglio) e la strada comunale del Vanzeghetto (ora Ponte Fusia). La roggia Fusia era costeggiata a ponente, fino al ponte di via Calci, dalla strada dell’Attiraglio, che seguitava poi a levante della seriola, allora ancora navigabile.

La contrada, che non era mai stata una “quadra” come le altre di Mura, Riva e Mercato che avevano una loro chiara fisionomia politico-amministrativa, costituiva per tuttavia una piccola comunità che, fino dalla fine del ‘700, era caratterizzata da un tipo di economia, legata alla agricoltura e alla navigazione della Fusia, per cui gli abitanti erano scherzosamente definiti “i barcaröi de le Calsine”, poiché molti di loro erano addetti al governo delle barche e a quello delle bestie che effettuavano il traino delle imbarcazioni.

Il Rosa, nel suo “Calendario delle festa della Chiesa di Palazzolo” del 1794, annota che “durante le quarant’ore le contrade facevano ognuna le loro ricche offerte di cera, e queste contrade, ossia offerte, erano sette: cioè gli uomini e le donne di Mura, quegli e quelle di Piazza, quegli e quelle di Riva e gli abitanti delle Calcine”, facendo intendere che anche questo nucleo abitato era presente alla vita parrocchiale, in modo unitario.

Sempre nella stessa epoca, alla caduta della Repubblica Veneta (1797), allorché Palazzolo si ribellò agli ordinamenti veneziani per darsi, prima nel Bresciano, in mano al Governo Provvisorio, dalle Calcine partì una controrivoluzione che fu capeggiata da Gio. Taboni, barcaiolo, e Antonio Gottardi, detto il Gambino, abitante nella medesima contrada.

Furono essi che nella notte del 3 aprile andarono, con alcuni di Riva, vagando per il paese insultando varie persone del partito francese. In questo fatto è possibile intravedere un atteggiamento tipico dei membri di una piccola comunità, che approfittano dell’occasione, che si offre loro, per reagire contro la prepotenza degli abitanti più influenti del “centro” del paese, contro, cioè, quei pochi che dominavano nell’Amministrazione Comunale e che probabilmente dimenticavano bisogni e richieste di questa fetta, ancora informe, del paese.

Quando in ogni “quadra” si mettono in moto le Vicinie per deliberare ampliamenti e restauri a tutte le chiese, grandi e piccole, e in Piazza si pone mano alla costruzione della chiesa nuova (1750), anche gli abitanti delle Calcine, al posto della vecchia santella, costruiscono una vera chiesa che viene collocata nel cuore della contrada, accanto al “porto”, all’incrocio delle due strade più importanti.

LA CHIESA DELLA MADONNA DI LORETO

Gli abitanti della contrada avevano eretto in epoca remota una santella formata da un semplice muro sul quale era dipinta un’immagine della Madonna, dipinto che venne scoperto nella demolizione della chiesetta e del quale venne conservata la parte superiore, ora murata in una nicchia nella ex-casa della Fusia. Verso il 1500 venne sovrapposta alla primitiva edicola una cappelletta a volta che poteva contenere un altare sopra il quale c’era un altro affresco che riproduceva il primitivo, rimasto coperto dall’altare e che rappresentava una Madonna di Loreto, sostenuta da due angeli.

Sicuramente prima del 1791 venne costruito un corpo di fabbrica, davanti alla cappelletta, con tetto a capanna, chiuso dalla facciata nella quale venne ricavata la Porta e due finestre poste ai suoi lati.

Sopra l’architrave un bellissimo bassorilievo che raffigurava la Santa Casa trasportata dagli angeli e sopra il tetto poggiata una Madonna con Bambino Gesù.

La pittura del ‘500 venne incorniciata da una bella soasa in legno, che riproduceva il motivo antico. Al fianco dell’affresco erano state dipinte la sante Lucia e Apollonia.

Su lato nord era stato attaccato un campanile colla sua campanella.

La chiesetta serviva per la S. Messa quotidiana, celebrata dai Padri francescani del vicino Convento del Cividino e per quella festiva officiata da uno dei Sacerdoti del paese.

PRIMO “DECOLLO” DELLA CONTRADA (1850-60)

Il “decollo” di questa contrada palazzolese possiamo porlo verso la metà del secolo scorso, quando venne costruita la linea ferroviaria Milano-Venezia e, per avere il legante in loco, si impiantò la fabbrica della calce e cemento. Come oggi il tracciato di una nuova arteria stradale richiama immediatamente un insediamento di attività nuove, così allora l’avvento della ferrovia fece sorgere delle nuove industrie manifatturiere che potevano usufruire di questo nuovo mezzo di trasporto.

Queste a loro volta richiamarono nuove famiglie, anche di fuori paese. Un mestiere nuovo si prospettò per gli abitanti del rione: quello del “cavallante” che si dedicava al trasporto, da ogni parte del paese alla stazione e viceversa, di materiali vari, usando dei carri con ruote altissime onde poter aver il piano di carico all’altezza del vagone ferroviario. La gente di Palazzolo andando alla “stazione” ferroviaria prese contatto con questa zona che finì coll’uscire dal suo isolamento antico.

Le “Calcine” offrivano anche molti terreni agricoli, pronti per essere urbanizzati e utilizzati per nuove costruzioni di abitazioni, a breve distanza dal “centro” del paese, in una zona paesisticamente bella e salubre. Infatti verso la fine dell’800 sui terreni fra le vie Zanardelli e Sgrazzurati, furono costruite delle ville signorili da parte degli industriali del luogo, ricche di bei parchi che ancora oggi danno respiro alla zona. Perfino un attrezzatissimo poligono di tiro a segno purtroppo, oggi, lasciato in completo abbandono.

LE “CASE OPERAIE”

Anche le prime “case operaie” di Palazzolo vennero costruite in fregio alla strada per la stazione. La Società Cooperativa Edificatrice Case Operaie sorse nel lontane 1901, su proposta della Società Operaia Maschile di Mutuo Soccorso e collo scopo di offrire nuove case di abitazione ai lavoratori. Fu lo stesso Presidente della Società Operaia, cav. dr. Antonio Sufflico, che promosse la prima Assemblea il 15 – 21 – 1901 e diede vita alla Società. Primo Presidente fu Giovanni Niggeler e su progetti dell’ing. Rossi di Milano nell’anno seguente venne costruito il primo gruppo di case, comprendente dodici alloggi con 60 vani utili, costati sulle cinquantamila lire. L’ingegner Cernuschi, direttore della Italcementi favorì la Società offrendo, a metà prezzo, il legante necessario alle nuove costruzioni.

Nel febbraio 1902 si cominciarono gli scavi delle fondamenta ed in settembre tutto era pronto per la solenne inaugurazione.

Il dr. Sufflico, che era anche Sindaco del paese, desiderava che detta cerimonia coincidesse colla celebrazione del Quarantesimo di fondazione della Società Operaia (1862) e col Trentesimo della nascita della banca M.P.A. di Palazzolo (1872) che insieme, ogni dieci anni, festeggiavano questa loro comune origine. La inaugurazione ebbe luogo l’11 ottobre 1902 coll’intervento dei Ministri Sacchi e Luzzatti, di Deputati e Senatori, ospitati dai maggiorenti del paese.

Nel 1904 il Presidente Niggeler ed il sig. Emilio Küpfer regalarono alla Società il terreno, acquistato dalla Arciprebenda di Palazzolo, del valore di L. 13.135, sul quale, nel 1907, sorsero il secondo e terzo caseggiato rispettivamente di 18 e 24 alloggi. Ma l’opera della Società continuò fino alla vigilia della guerra. Nel 1914, infatti, veniva terminato il quarto casamento con altri 18 allogi. Nel piazzale delle Case Operaie ebbero luogo le manifestazioni patriottiche del 23 giugno 1918 quando si inaugurò la bandiera dei mutilati e invalidi di guerra e il monumento ai Caduti nel nostro cimitero comunale.

Nel 1920 e nel 1925 erano pronti altri due caseggiati di 26 e 24 alloggi.

Al presidente Giovanni Niggeler, morto nel 1919 succedeva il figlio ing. Willj che proseguì l’opera del padre a vantaggio dei lavoratori e delle loro famiglie.

Nel 1942 si operò la congiunzione dei caseggiati terzo e quarto realizzando altri 12 vani. Nel dopoguerra, nel ritmo generale di rinnovamento edilizio, anche la Società Case Popolari promosse il prolungamento del caseggiato di Via Gramsci ed il sopralzo dell’edificio centrale. Infine nel 1961 favorì il sorgere del villaggio sulla Via Brescia (10 alloggi, 62 vani).

Oggi essa amministra 158 alloggi, per un totale di 350 vani. Ne è Presidente il commend. Italo Marzoli, collaboratore stretto del defunto ing. Willj Niggeler.

LA CHIESA DEL SACRO CUORE DI GESÚ

Queste costruzioni operaie e le altre di privati sorte nella zona fecero sì che la popolazione raggiungesse le duemila anime. Per poter offrire anche a tutti gli abitanti una adeguata assistenza spirituale, finita la prima guerra mondiale, si stabilì di costruire una nuova chiesa dedicandola al Sacro Cuore di Gesù in perpetuo ricordo dei Caduti. L’idea incontrò caldo appoggio ed anche forte opposizione, avendosi in quegli anni avviati altri progetti: monumento ai Caduti, Orfanotrofio Maschile.

L’11 settembre 1921 il Vescovo, mons. Gaggia, poneva solennemente la prima pietra di quel Tempio che primo in Provincia, e forse in Italia, venne intitolato al Sacro Cuore di Gesù.

Il peso del condurre avanti la grave fatica della costruzione del tempio cadde sulle spalle del canonico don Ambrogio Signorelli di Palosco che dal 1919 era canonico a Palazzolo. Egli non guardò alle difficoltà e con la massima fiducia nella divina Provvidenza condusse a termine l’opera.

“Ma è pur doveroso riconoscere lo slancio ardimentoso dei Palazzolesi tutti, i quali nonostante la crisi delle industrie, la diminuzione dei salari, il carovita, la disoccupazione, con offerte vistose in danaro, colla prestazione gratuita al trasporto del materiale, coll’obolo continuato anche degli umili ma sempre generosi, giunsero quasi ad improvvisare un’opera sì imponente. Va ricordata specialmente alla pubblica riconoscenza ad esempio la Società Italiana Calce e Cementi che, interpretando la fede di Palazzolo, con spirito altamente civico e religioso, somministrò gratis il materiale di muratura.

Il tempio in parola misura m. 30 di lunghezza, 14 di larghezza e 20 di altezza; è a tre navate, rischiarate da grandiose finestre, proiettanti una luce severa ma dolce sulle volte gotiche, molto bene adattate allo stile gotico-lombardo a cui l’edificio è stato ispirato.” (Mainetti, Miscellanea, pp.227).

La impresa che realizzò il progetto dell’ingegnere fu quella di Aristide Sala e la statua del Sacro Cuore di Gesù opera dello scultore Angelo Righetti.

La seconda guerra mondiale investì questo rione, prossimo al ponte della ferrovia, occasione un tempo del suo sviluppo ed ora della sua distruzione. Famiglie intere furono costrette a sfollare. Case deserte, opifici sventrati dalle bombe degli aeroplani, paura, desolazione! Ma la guerra finì, ripresero con maggiore slancio tutte le attività industriali e commerciali: fonderie, manifatture bottoni, costruzioni meccaniche, calce e cementi, traffico ferroviario. In fregio al ponte ricostruito, venne realizzata una passerella pedonale che congiungeva le Calci con Cividino, abbreviando il tragitto da e per la stazione ferroviaria.

La crescita della zona richiese nuove strade e servizi pubblici. Ecco che negli anni ’60 l’attenzione della pubblica Amministrazione si volge con decisone a risolvere il problema delle abitazioni e nascono i nuclei della zona di Via Gramsci, Nazari, Maza-Brescianini, poi quelli della Piazza della Cooperazione.

Contemporaneamente sono create le Scuole elementari di Via Zanardelli (1954), nell’adiacente terreno per il Centro di Addestramento INAPLI; nel 1957 viene aperto il nuovo Asilo Comunale di Via Roncaglie e nel 1960 l’edificio del Consultorio Pediatrico e Materno ONMI.

Le Cooperative edilizie, che hanno la loro sede proprio sulla Via Roncaglie, urbanizzano tutte le adiacenze e prolungano l’abitato fin sulla Via Brescia, utilizzando piani statali INA-Casa, Tupini e usando di finanziamenti delle banche locali.

Proprio davanti alla chiesa sorge il palazzo dell’INAIL e nel 1958 viene aperta la nuova farmacia.

Dove un tempo erano campi arati, vigne ed alberi specchianti le loro chiome folte nell’acque trasparenti dei due vasi Fusia e Serioletto, si stende il Viale Italia. Il mercato merceologico del Lungo Oglio viene trasferito nel 1959 nel grande Piazzale del Foro Boario, ribattezzato Piazzale Dante Alighieri.

E accanto al fervore delle opere umane, fa riscontro anche quello delle opere di culto.

La contrada che dal 1939 era rimasta senza un Sacerdote, ebbe Don Chiappa dal 1949 al ’53, a cui successe, dal ’54 al ’62, don Carsana. Viene costruita, adiacente alla chiesa, la casa per il prete, nasce l’Oratorio per i fanciulli, viene arricchita la chiesa e si creano i presupposti per la nascita della quarta Parrocchia cittadina.

sta in Parrocchia del Sacro Cuore, 2 giugno 1968

PAGE

PAGE 5