Un bilancio lodevole di opere parrocchiali
Non è facile condensare anche in un lungo articolo i ricordi personali e soprattutto le opere che oggi e per altri decenni testimonieranno alle generazioni future il parroco mons. Zeno Piccinelli. I miei ricordi si confondono e fanno da cornice alla lunga vicenda di 34 anni di parrocchiato, che corrispondono quasi esattamente alla lunghezza della mia vita. Questi ricordi e queste date avranno anche forse un altro limite nella loro incompletezza, essendo sgorgati quasi istintivamente alla ferale notizia della sua scomparsa.
Quando il 4 settembre 1932 Egli faceva il suo solenne egresso nella nostra parrocchia – era stato nominato arciprete il 6 giugno dello stesso anno – aveva alle sue spalle una ventennale esperienza pastorale che aveva svolto prima come Vicario Cooperatore a Niardo (dal 1910 al 1919) poi a Cellatica (dal 1919 al 1926) e infine a Bovegno, dove era stato parroco dal 2 marzo 1926 al 5 giugno 1932. I tempi nei quali giunse fra noi erano certo i meno propizi per una azione sacerdotale, poiché una certa inquietudine era nell’ambiente cattolico, sottoposto alle violenze del regime tradottesi in bastonature anche a sacerdoti e in devastazioni alla sede dell’Azione cattolica maschile. Passato questo periodo di ambientazione, si venne movendo subito verso la prima delle sue opere: la sistemazione della nuova parrocchiale. L’occasione si presentò nel 1935 quando il 22 maggio venne celebrato il 25.o della sua prima Santa Messa. Venne raccolta una somma di L. 31.838 che il canonico Bissolotti presentò al festeggiato augurando una prossima attuazione dei restauri, che cominciarono nel successivo 1936. Si iniziò dal tetto: poi venne la costruzione del campanile di destra ancora mancante. Nello stesso anno, su invito della Soprintendenza, venne iniziata la valorizzazione e il restauro del polittico del Civerchio, condotta dal valente sig. Pelliccioli. Nel 1937 egli studiò il piano di finanziamento delle opere, che avrebbe dovuto realizzare e, come sempre, la nostra popolazione non deluse le sue aspettative. Nel 1938 diede mano ai restauri della cupola; nel 1939 e nel 1940 vennero portati avanti il rivestimento in marmo e in stucco del resto del tempio, la cui leggiadria venne completata dalle vetrate, dai lampadari, dai banchi e dal restauro delle altre tele degli altari laterali.
Cure per la Pieve
Il turbine della guerra 1940-1945, coi suoi lutti, con le sue giornate costellate di allarmi e bombardamenti aerei non interruppe il ritmo delle sue attività parrocchiali. Lo vedremo parlando del salvataggio in extremis delle campane della Torre. Nel 1945, in sordina, senza manifesti o lettere alle famiglie - d’altronde provate in quegli anni e già prese dalla nuova idea del concerto campanario nuovo – l’arciprete iniziò l’abbellimento e la sistemazione della chiesa vecchia, necessitando di riaprirla al culto per i bisogni dell’aumentata popolazione.
Dai primi sondaggi effettuati negli intonaci, apparvero dei motivi decorativi che si svolgevano lungo le navate laterali, sulle colonne, negli archi e nelle vele delle volte e che risalivano sicuramente ai primi anni del ‘500, epoca di un ultimo ingrandimento della chiesa.
L’8 dicembre 1947 veniva riaperta al culto tale chiesa e l’arciprete al Vangelo prendeva la parola per tracciare una breve storia del tempio dove erano passate tante generazioni di palazzolesi e dove da allora in avanti avrebbero di nuovo trovato posto per la Messa domenicale i fanciulli e i giovanetti della parrocchia. Noi tutti che affollavamo la Pieve vedemmo come trasfigurarsi la tinta grigiastra delle fumose pareti, che ci avevano accolto per le prove del piccolo clero, in leggiadre e colorite decorazioni cinquecentesche.
Le nuove campane
In questa occasione mons. Arciprete usò tutta la sua fermezza e sagacia nel condurre a termine una intricata e pericolosa situazione. Fin dal 1942 si sarebbe dovuto consegnare il 60% del peso complessivo delle nostre campane, e infatti ne furono levate alcune dalle chiesette di periferia e dalla Rocchetta, ma quelle della Torre facevano ancora sentire la loro voce.
Il 31 agosto e il 2 e 3 settembre 1943 si dovettero calare anche le quattro della Torre. Sopraggiunse però l’8 settembre con gli avvenimenti che seguirono e il nostro concerto, ricuperato a Chiari, venne ricondotto nella massima segretezza in una cascina sulla via Valena, dove rimase nascosto fino alla fine della guerra.
Monsignore presentò alla popolazione il consueto “piano finanziario” come lui era solito definire il modo di finanziamento delle varie opere, e il progetto della fusione delle cinque campane (calata anche l’ultima dalla Torre) per ricavarne dodici, tante quante ne poteva contenere la capace cella campanaria della Torre. Così nel 1946, con la spesa di quasi due milioni si realizzava un altro dei suoi progetti e il nuovo concerto di campane giungeva il venerdì santo a Palazzolo e veniva montato su un’impalcatura provvisoria all’Oratorio di san Sebastiano dove venne benedetto dal vescovo mons.Tredici e dalla Torre fece udire di nuovo i suoi rintocchi dell’Ave Maria la sera della vigilia della festa di S. Fedele. Festa particolarmente solenne per la presenza di tre vescovi e dedicata al ringraziamento di Dio per il ritorno dei figli dalla guerra e per lo scampato pericolo corso dal nostro paese per ben 36 volte in occasione di altrettanti bombardamenti aerei al ponte ferroviario.
Non si può dimenticare che nel 1949 si svolse la “Peregrinatio Mariae.”, la visita della Madonna Pellegrina e tutti, conoscendo la grande devozione del Parroco verso la Vergine, si attendevano qualcosa di straordinario e fu veramente una settimana indimenticabile per le manifestazioni di amore verso la mamma Gesù,che andò per le vie, entrò negli stabilimenti, fu onorata dalle varie contrade che si trasformarono in fiumane di gente orante dietro il bel simulacro della Vergine.
L’anno seguente seguirono le celebrazioni del II° centenario della parrocchiale, conclusesi la sera del 24 settembre sul sagrato della chiesa coll’Incoronazione del S. Crocefisso, da secoli venerato come simulacro miracoloso da tutti i palazzolesi.
La nomina a Prelato Domestico di S. Sanità
In occasione dell’apertura della Casa della Giovane “Agostina Marzoli” i rappresentanti delle varie classi sociali palazzolesi e i vari presidenti dei movimenti di A.C. sollecitarono S. E. il Vescovo a voler favorire la concessione di un titolo onorifico al nostro arciprete che di meriti ne aveva acquisiti a sufficienza. Infatti il 9 giugno 1952 S. S. Pio XII lo elevò al rango di Prelato Domestico e Palazzolo cattolica gli preparò una giornata calda di festeggiamenti che gli toccarono il cuore anche se, come sempre, per la sua natura egli rifuggiva dalle manifestazioni rivolte alla sua persona.
La chiesa della Madonna di Lourdes
L’anno Santo Mariano del 1954 non doveva passare senza un segno imperituro e l’arciprete realizzò nel santuario, così caro al suo predecessore don Ferdinando Cremona e a tutti palazzolesi, attraverso decorazioni a mosaico, pitture e stucchi questa idea: “L’ammirazione del cielo e della terra verso il mistero della Madonna”.
E la sua ultima Messa la celebrò proprio al Santuario l’11 febbraio scorso ai piedi della statua della Vergine, che ha fatto ritrarre dal pittore Egger sopra il suo sarcofago nella cappella dei sacerdoti al cimitero.
Accanto all’abbellimento delle chiese va collocata anche un’opera della carità, il nuovo ricovero dei vecchi “Cremona” che dalla vecchia e ormai troppo angusta sede di via Carvasaglio, venne sistemato nelle case Gasparini di via Britannici. Anche in questa occasione ebbe tutta la comprensione e l’aiuto dei palazzolesi che dopo una vita spesa per il lavoro potevano avere un luogo, dove godere in serenità la vecchiaia, allorché anche le persone più care sentono il peso degli anziani, che così devono correre a cercare rifugio nella carità pubblica.
E perché la gioventù avesse una più adeguata assistenza spirituale si convinse della necessità di creare la Casa del Giovane, il decentramento degli Oratori, primo segno delle future parrocchie cittadine, che forse non avrebbero potuto realizzarsi con un altro parroco. Egli le dotò di terreni e di mezzi per iniziare la loro non facile vita ed oggi anche queste sono una realtà, che solo il tempo potrà farci giudicare come lodevoli iniziative e vantaggio della popolazione cittadina.
Altri più vicini all’arciprete e più qualificati diranno delle sue doti, del suo modo francescano di vita, del suo carattere. Io non posso che riandare a un’immagine: quella dell’arciprete inginocchiato a sinistra dell’altare del SS. Sacramento nelle ore serali, tutto intendo alla meditazione ed alla preghiera.
Una preghiera che dal pastore si riverberava sul gregge, su di noi che per tanti anni lo abbiamo avuto confessore, consigliere, esempio, incoraggiamento, giudice talvolta delle nostre azioni, ma stimolo costante ad una vita cristiana.
La nostra pigrizia contrastava con i suoi metodi spartani, le nostre apparizioni in chiesa alla messa o all’ufficio, ancora assonnati erano riprese da lui, che dalle tre o quattro del mattino era già intento alla preghiera ed alla sua attività; la sua frugalità era un richiamo per la nostra abbondanza e ricercatezza nel cibo e nel vestito.
La sua semplicità, la sua visione del mondo tradotta in poche proposizioni erano motivi di meditazione che lui, senza parlare ci veniva indicando per risolvere i nostri problemi di inserimento nella vita. Ora che se n’è andato rileggiamo le tre fasi che ha fatto scrivere nella cappella del cimitero dove riposa: Donando si ama – Pregando si ottiene – Soffrendo si ripara – e mi paiono una ultima volontà, che ha lasciato a noi. suoi figli spirituali non solo per 34 anni, ma per l’eternità.
La Voce di Palazzolo, 26 marzo 1966
PAGE
PAGE 3