L’ISTRUZIONE A PALAZZOLO NEI SECOLI XVIII E XIX
La pubblicazione del dottor Franco Chiappa: “Una pubblica scuola di grammatica a Palazzolo nella seconda metà del ‘400” ha chiarito come da parecchio tempo fosse viva nella nostra terra una scuola di grammatica (che equivale in termini moderni alla scuola primaria) finanziata dai frequentanti stessi e come, dal 1464 essa fosse diventata pubblica, essendosi il Comune accollato l’onere del pagamento del maestro, rivalendosi poi sui cittadini.
Scaduta la convenzione comunale la scuola continuò, a spese degli alunni, anche nei primi anni del secolo XVI, durante il quale però, per effetto delle guerre, delle carestie e delle pestilenze, aumentata la miseria delle nostre famiglie, anche la scuola decadde e con essa si accrebbe l’ignoranza del popolo.
Il primo tentativo di fondare in Brescia una vera scuola popolare e gratuita, aperta a tutti i poveri fanciulli della città, si deve all’opera di san Gerolamo Emiliani nell’anno 1532.
Il Concilio di Trento nella sua quinta sessione aveva fissato numerosi decreti relativi alle scuole parrocchiali, che non erano scuole di natura ecclesiastica, ma vere e proprie scuole gratuite aperte a tutti. In esse insegnavano i preti che continuavano così la tradizione dei “maestri di grammatica” del secolo precedente.
Palazzolo, che aveva avuto una “scuola comunale” in cui i fanciulli palazzolesi erano stati eruditi “bonis moribus et doctrina” da un maestro stipendiato dalla Comunità per molti anni, nella seconda metà del cinquecento, alla venuta di San Carlo Borromeo, aveva due dei sette sacerdoti della Parrocchia e precisamente don Giuliano Giuliani della Congregazione dei Canonici secolari di S. Giorgio di Algà di Venezia, e don Agostino Cerutti di Adro, che erano anche “ludi magister” e insegnavano la grammatica ai fanciulli. L’impegno dell’istruzione dei fanciulli completava quello che già aveva l’arciprete di insegnare, nei giorni festivi, la dottrina cristiana e rappresentò l’unica forma di istruzione dei piccoli nei paesi come il nostro dove i pochi frequentanti imparavano l’alfabeto e i rudimenti dell’aritmetica.
Nel secolo seguente l’istruzione popolare cadde in abbandono ed i figli del nostro popolo, poiché quelli dei cittadini e dei mercanti potevano ricevere l’istruzione in qualche scuola da maestri privati, crescevano in gran parte ignoranti.
Nel 1625 il nostro Consiglio Comunale deliberava di assegnare a un prete, Don Francesco Torre dieci ducati perché continuasse a tenere scuola e ad insegnare ai figlioli che gli erano mandati a lezione.
Al principio del settecento, a Brescia come nella Lombardia austriaca, le condizioni dell’educazione continuavano ad essere misere. Le classi popolari ed artigiane mancavano di scuole e nelle campagne nessuna luce di cultura e ciò rappresentava di riflesso l’inerzia e l’immobilismo del governo veneto che, anzi, era arrivato ad imporre un’imposta di un ducato all’anno a chi conduceva scuole private laiche od ecclesiastiche.
Don Luigi Tamanza e il suo legato a favore delle scuole pubbliche.
La sensibilità per il problema dell’educazione cristiana dei fanciulli della nostra terra lasciati per secoli abbandonati nell’ignoranza, trovò in don Luigi Tamanza, la persona che offrì i mezzi materiali per la istituzione d’una scelta scuola pubblica a Palazzolo.
Figlio di Paolo Tamanza, don Luigi era stato Rettore della Chiesa di S. Giovanni di Mura dal 12-X-1700 fino alla morte avvenuta il 25 novembre 1705. Egli con testamento, steso di suo pugno il 12 gennaio dello stesso anno, dopo aver fatto la professione della sua fede in Gesù Cristo e nella Chiesa cattolica, lasciava erede universale di tutti i suoi beni, stabili, censi e livelli l’altare del Santissimo Sacramento della Parrocchia di Palazzolo con alcune obbligazioni e come“esecutori testamentari il sig. Presidente di detta scuola con i sig. deputati e congrega, pregandoli con tutto il cuore a voler ricevere questo onere per amore di Dio a beneficio della scuola, per suffragio, dell’anima sua e dei suoi defunti”.
Dopo aver impartito ordini per i suoi funerali e per la sua sepoltura manifestando il desiderio di essere sepolto con la veste nera di prete e senza abiti sacerdotali per maggiore sua mortificazione, aggiungeva testualmente: “Obbligazione del mio Santissimo Erede: che sia comperata o tolta ad affitto una casa in piazza di Palazzolo fuori dai rumori, capace di tenervi scuola per fare insegnare a leggere e scrivere, far conti li figlioli della terra di Palazzolo per amore di Dio, facendoli confessare, e comunicare almeno una volta al mese e che principalmente gli siano insegnate le cose principali della nostra santa Fede spiegandogliela minutamente, acciò possino essere boni christiani per il cui effetto eleggeranno un maestro ottimo di costumi, o due, secondo che conosceranno il bisogno il sig. Presidente quale o quali saranno pagati dalla scuola del Sacramento conforme il sig. Presidente e sigg. Deputati conosceranno bisognoso il pagamento, volendo ogni tre mesi gli sia data la paga sua per la fatica che faranno”. Per adempire la volontà del testatore la scuola del SS. Sacramento affittò una casa di proprietà delle sorelle Chiara e Cecilia Beppi, che era proprio a pochi passi dalla pieve e che allora era fuori dai rumori perché si affacciava sulla piazzetta della Chiesa e si allungava a ovest tra orti e case, non essendo stata ancora aperta la parte della odierna piazza fra il ristorante Roma e la nuova parrocchiale.
Nel 1715, con un memoriale al Doge Giovanni Corner, la scuola del SS. Sacramento chiese l’autorizzazione all’acquisto della casa già avuta in affitto e il Doge, con sua del 15 febbraio richiedeva il parere in proposito al Capitanio di Brescia Girolamo Capello. A seguito di risposta favorevole, il Senato della Repubblica Veneta con Ducale del 16 novembre “secondando gli Istituti di sua religiosa pietà e gli oggetti del maggior profitto nelle virtù di questi amatissimi sudditi", deliberava di concedere che possano essi Reggenti farne della medesima casa la comprada perché abbia ad esercitarsi in essa la scuola”.
Il prezzo pagato fu si 900 scudi e lo stabile servì oltre che ad ospitare le due classi, allora funzionanti, per abitazione dei maestri e per deposito dei mobili della stessa scuola del SS. Sacramento. Gli insegnati erano assunti di quinquennio in quinquennio e sul loro stipendio veniva fatta la trattenuta per l’affitto dell’abitazione che essi e le loro famiglie godevano. Secondo le norme contenute nel testamento, poiché in esso si parla di “figlioli” l’istruzione era riservata ai maschietti, e nelle stesse indicazioni del rev. don Tamanza ci sono alcune norme di carattere pedagogico che sono tutt’oggi valide.
Il pio sacerdote volle che la casa fosse “ fuori dai rumori”, lontana cioè da ogni occasione esterna di distrazione per gli scolaretti già così facilmente disposti a seguire la loro sbrigliata fantasia.
La volle però “in piazza”, nella quadra più centrale del paese per favorire la frequenza da parte del maggior numero possibile di fanciulli delle tre quadre, e perché era vicina alla chiesa, dove gli scolaretti dovevano “per amor di Dio essere fatti confessare e comunicare almeno una volta al mese”. Egli oltre che preoccuparsi dell’aspetto della istruzione (“insegnare a leggere, a scrivere e a far conti”) sottolineò in modo deciso quello formativo e cioè “l’insegnamento delle cose principali della nostra santa Fede, spiegandole minutamente, perché essi divengano buoni cristiani” cioè credano. Perché questa fede fosse il fondamento di quell’opera formativa, era necessario fosse sostenuta dai sacramenti: confessione e comunione frequenti. Veramente l’optimum per una formazione integrale della personalità di quei fortunati scolari.
La scuola iniziava al mattino, dopo il suono della campana detta appunto “della scuola” dato della Rocchetta (non c’era ancora la torre e il campanile della pieve era troppo basso e il suono non poteva essere udito dappertutto), con la Santa Messa alla quale i fanciulli venivano condotti dagli stessi maestri (che per tale mansione chiesero anche un compenso, poi concesso); dalla chiesa alla scuola non c’erano che pochi passi onde l’uscita dalla chiesa e l’entrata in classe doveva in ogni stagione essere ordinata e rapida. Ciò che turbava la serenità della scuola era allora il deplorevole uso dei castighi corporali ritenuti necessari, dal pregiudizio popolare non del tutto scomparso anche oggi, per ottenere dagli allievi studio, obbedienza e morigeratezza. Quella scuola era del genere che potremmo, con termine moderno indicare come “unica pluriclasse” nella quale gli alunni di diversa età seguivano diversi tipi di studi.
La Voce di Palazzolo,26 agosto 1967