La pestilenza del 1467 colpì anche palazzolo ?
pubblicato il: 27/01/1968
da: La voce di palazzolo

La pestilenza del 1467 colpì anche Palazzolo

Le condizioni sanitarie delle nostre terre nel secolo XV furono turbate dal riaffiorare periodico di malattie che, col generico nome di “peste”, assalivano le comunità e talvolta le decimavano.Di quelle che hanno avuto un carattere chiaramente epidemico sono rimasti ricordi imperituri nelle cronache, nelle deliberazioni pubbliche e nel culto ai Santi, protettori di tali morbi.

Palazzolo venne colpita più volte da questi flagelli pestilenziali nel corso di quel secolo. Non eravamo in possesso, però, di notizie di altre epidemie a partire dal memorando contagio del 1462 (che dovette mietere parecchie vittime) fino al 1478, allorché si diffuse il famoso “mal del mazuch o del zuchot” che fu di stimolo alla costruzione della chiesa di S. Rocco (1480).

Si pensava che Palazzolo fosse stata risparmiata da un’altra malattia epidemica scoppiata a Brescia e nella zona di Salò intorno agli anni 1468-69. Ora, invece, da alcune pagine scritte dal medico-scrittore bergamasco Michele Alberto Carrara (1438 – 1490) nella sua Commemoratio, siamo informati che anche la nostra fu colpita, alla fine del 1467, da una nuova pestilenza.

Ecco cosa scrisse il Carrara all’inizio del II libro dell’opera citata :

“Sono a Stezzano; ed ecco che, con due messaggeri mi si prega di recarmi a Palazzolo sull’Oglio. Era già sera, il sole tramontava; io monto su un cavallo mentre i miei pochi bagagli vengono caricati su un mulo. Per via, ci sorprendono nubi dense e cupe. Quando giungiamo alle mura della cittadina è notte, e tuona, e piove. Subito accorre qualcuno del popolino, e per timore che io porti il contagio, vogliono che non sia ricevuto in città. Avevo l’anima invelenita, contrariamente alle mie nobili abitudini. Io credevo, poi, che mi si facesse opposizione proprio per il motivo del contagio; e perciò ragionavo con loro così: - Nel territorio di Stezzato ho già fatto trenta giorni di quarantena; con altri dieci, io sarò immunizzato del tutto. Del resto, lo sapevate, e allora perché mi avete fatto venire fin qua lontano da casa mia? – Ma era come parlare ai sordi; la folla minacciava di cacciarmi via in malo modo.

Allora, o Vergine, mi sei venuta in aiuto Tu. Lì vicino abitava Giovanni Schilini, consulente giuridico e cavaliere; con lui erano anche Tomaso Luzzaghi, di illustre famiglia, e Tempesta Maggi; costoro mi invitano, mentre la plebe mi scaccia. Avevano sentito per fama notizie sul mio ingegno terapeutico. Vado, dunque, con loro, nei pressi del ponte di Bassano.

Lì, il mio ospite Luzzaghi, ha beni di ogni sorta; mi offre letto, servi e vestiti finissimi. Trascorsi quindici giorni per placare le chiacchiere della plebe, prendo congedo, e torno a Palazzolo.

Appena entrato, tutti si precipitano dal pretore – che era un traditore, già soldato di Francesco Sforza – e si decide senz’altro di espellermi. Gli sbirri mi dicono che questa è la volontà del Senato Veneto e del pretore.Inutilmente io oppongo le mie argomentazioni: sarebbero disposti ad ospitare i saraceni e a crederli sulla parola, e non credono alla parola mia, proprio loro che mi hanno pregato di venire!

Allora un vecchio del partito guelfo mi dice la vera ragione di quella ostilità: - Ce l’hanno con te, perché tu sei di famiglia nobile, Tu sei del partito contrario. Tu, qui, figuri come un cigno tra i corvi; questi zoticoni odiano il cigno! – Io sto un momento in dubbio se fare una sozza strage di questi guelfi ribaldi; è la prima volta che un pensiero scellerato mi passa per la testa; poi, nella notte me ne vado, deciso a non rimanere più oltre in questo lurido paese.

Allora mi vengono incontro alcuni cavalieri di Rovato, inviati da Te, o Vergine. Tutti mi accolgono festanti con inni e corone di lauro sul capo.

Tu però, turpe plebe di Palazzolo, sentirai duramente quanto valga la perfidia e la crudele zizzania seminata, quanto i giusti santi del cielo abbiano in odio i serpenti che si trastullano con orribili scheletri.!”.

Gli avvenimenti che hanno condotto il medico a lanciare una simile invettiva contro Palazzolo si sono svolti, secondo quanto scrive il Mazzi (sulla biografia di G. Michele Alberto Carrara, Bergamo, 1901), fra la metà di ottobre (arrivo a Palazzolo) e i primi di novembre del 1467 (ritorno da Bassano Bresciano).

Il nominato Giovanni Schilini, doctor et miles, era una persona importante ed influente tanto che nel 1472 coprirà la carica di podestà di Palazzolo. Il “Pretore” invece, che secondo il Carrara, era un traditore, sarebbe stato Giovanni Lana de’ Terzi, podestà di Palazzolo nel 1467 e che, come accadde spesso in quegli anni, da soldato di Francesco Sforza, era poi diventato fedele servitore della Repubblica Veneta.

Come bisogna giudicare il comportamento dei Palazzolesi? Con severità, come fa il Carrara? Egli stesso dice che, accolto prima favorevolmente dai nobili cavalieri di Rovato, ne venne poi cacciato. Infatti allontanatosi brevemente per raggiungere la madre a Stezzano, al ritorno i Rovatesi lo accusarono di essersi portato in luoghi infetti dal contagio e gli quindi impedirono di ritornare nella loro terra. Siccome nel Bergamasco la malattia era ancora in fase di crescita, è più che logico che non si volesse accogliere una persona, anche se medico, che aveva frequentato persone e luoghi appestati. Appaiono quindi ingiustificate le accuse che egli lancia contro la “plebe” di Palazzolo che lo avrebbe scacciato perché era un nobile.

La Voce di Palazzolo,27 gennaio 1968