La lenta agonia di un teatro centenario
Fra i “centenari” che cadono in questo, appena iniziato, 1970, si pone quello dell’apertura del nostro Teatro Sociale, avvenuta il 15 ottobre 1870. Ma tale teatro è chiuso dal 1957, quando il prefetto di Brescia decretava la sospensione a tempo indeterminato dell’agibilità del locale per le deficienze statiche che lo rendevano pericoloso per la pubblica incolumità.
Nello stesso anno la Soprintendenza ai monumenti vincolava l’immobile perché d’interesse storico-monumentale. Da allora, nonostante articoli di giornale e di riviste, richiami da parte di cittadini, lo stabile, già chiesa della soppressa Confraternita dei Discepoli e caserma militare, sta andando in rovina.
Così ci troviamo a dover celebrare il centenario a un moribondo che si va spegnendo adagio perché nessuno se ne prende cura.
Non se ne cura la società teatrale, composta inizialmente di 17 soci, più il comune nella persona del sindaco in carica, tutti i membri di famiglie della borghesia palazzolese dell’ottocento, ormai ridotta a pochi discendenti. La Società esiste solo sulla carta, essendo i componenti o anziani o lontani da Palazzolo. Di fatto essa non agisce più dal 1959, quando i soci palchettisti si riunirono e fecero stendere all’arch. Mario Moretti un modesto progetto onde rendere agibile la sala. Tale progetto non poté però mai essere realizzato e nel 1961 il Questore depennava dagli elenchi delle sale di pubblico spettacolo il Teatro Sociale.
Della questione potrebbe curarsene l’amministrazione comunale che, qualora avesse a sciogliersi la società teatrale, ritornerebbe ad essere proprietaria non solo dell’immobile, ma anche di tutti gli addobbi e del mobilio.
Un accordo fra la società ed il comune potrebbe mettere in moto la terapia necessaria per salvare il Sociale; non solo per ridare stabilità alle strutture pericolanti, ma per riportare il teatro alla sua funzione.
Anche se non ritorneranno più l’atmosfera del salotto ottocentesco colla illuminazione a lucerne a petrolio, coi suoi palchi rivestiti in velluto e adornati da frange dorate, in cui le signore del luogo e dei paesi vicini facevano sfoggio di abiti e di ornamenti preziosi, dopo essere state condotte sul posto da lucide carrozze; anche se non rivedremo più artisti della fama delle sorelle Irma ed Emma Gramatica o cantanti come il Rubini, o il Gigli, il Teatro potrebbe avere ancora una sua funzione.
Sicuramente troverebbe modo di soddisfare il bisogno della comunità che cerca, spesso, un locale decoroso per dibattiti, conferenze, convegni e, perché no, per rappresentazioni teatrali per un pubblico nuovo, amante del teatro-dialogo, della commedia-dibattito.
È quindi tempo che ci si prenda cura di questo malato, che un giorno o l’altro potrebbe morire travolto dal crollo del tetto pericolante, schiacciato sotto il peso delle travi tarlate, affogato dall’acqua che entra dal tetto scoperchiato.
Una comunità deve saper conservare e valorizzare i monumenti che ricordano una passione mai spenta fra i palazzolesi, per il teatro, genere letterario che vanta autori come lo Zambadi (nato anche lui nel 1870 col teatro) filodrammatiche di ottimo livello interpretativo, concorsi interprovinciali che hanno sempre trovato un pubblico esigente ed entusiasta.
In questo senso ha ragione di celebrarsi il centenario come data d’inizio della risurrezione del Teatro Sociale, voluta da figli non immemori della passione per l’arte dei propri avi.
La Voce di Palazzolo, 7 marzo 1970
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