COME È FINITA L’ISTITUZIONE DEI “MONTI GRANATICI”
Quando nel gennaio 1969 pubblicavo sulla “Semente” una nota su “I monti di pietà o granatici di Palazzolo” avevo lasciato imprecisato il modo ed il tempo in cui queste antiche istituzioni di pubblica beneficenza, sorte nel secolo XVI in ognuna delle tre quadre della nostra borgata, avevano effettivamente cessato di vivere. Ne ignoravo infatti gli ultimi anni di attività.
Durante alcune ricerche di archivio, ho trovato una interessante “relazione” fatta al Consiglio Comunale, convocato per il 3 dicembre 1869 con all’ordine del giorno appunto la “Trasformazione del Monte frumentario in altro istituto di beneficenza”, dal Presidente della locale Congregazione di carità, sig. Sufflico G. Battista su incarico del sindaco Locatelli.
Ritengo perciò opportuno a integrazione del precedente scritto, pubblicare qui di seguito tale relazione, che dice:
“Arduo sarebbe il mio compito, o Signori, se io mi prefiggessi di darvi una storia genuina dalla fondazione, suo sviluppo, sue fasi, e replicate crisi cui ebbe a sottostare il Monte Grano. Nessuna memoria si rinviene negli atti dai quali poterne dedurre un criterio su tale istituzione. La tradizione, qualche memoria qua e là attinta, mi permettono forse di darvene un embrione.
Da epoca remotissima data la fondazione di tale opera di beneficenza. In origine tutte le tre contrade, di cui era composto il paese avevano una propria amministrazione, ed un proprio granaio, sito sulle porte che davano da quattro lati accesso alla parte civile di questa nostra borgata,
Depauperato col volgere degli anni in alcune contrade e quasi per intero il Patrimonio, si ricorse all’espediente di fondere le restanze in una sola gestione, che veniva amministrata dai Deputati della Quadra di Mura, i quali depositavano quel grano che loro veniva dato di poter riunire sopra la porta tutt’ora esistente in quella Contrada.
È pur forza confessarlo che l’epoca riparatrice alle differenze di nascita, combattuta dalla prepotenza dell’aristocrazia soccombente, pesò gravemente un questo istituto per l’arenamento apportato al Commercio ed all’Industria dal cozzo dei partiti, che ognuno voleva far trionfare i propri principi, vicissitudini, alle quali non si può sfuggire nelle grandi trasformazioni politiche, e che lasciano ciò nulla ostante l’impronta di vantaggi relativamente colossali, quando arrivano a radicarsi nelle masse ed afferrare il potere; di modo che quando il R. Italico Decreto 21 dicembre 1807 riuniva tutte le Opere Pie in una sola amministrazione sotto il nome di Congregazione di Carità di ben poca importanza veniva a risultare il Monte Frumentario.
Dal 1807 al 1815 si tenne in movimento quel poco che si ebbe da quegli amministratori a ritrovare, ma le ultime guerre napoleoniche che privano dei migliori sostegni le famiglie derelitte, e più di tutto la desolata carestia del 1815-1816-1817 diede l’ultimo colpo a questo già tentennante stabilimento, riducendone la sua esistenza: a sole 239 quarte di frumento pari a sacchi n. 17,1, a sole 901 quarte di granoturco pari a sacchi n. 61,5; a sole 197 quarte di miglio pari a sacchi n. 12,9; ed anche questo ripartito sopra 86 ditte, di una impossibile esigenza come da elenco che si leggerà in appresso.
Dal 1845 al 1848 andò scemando ancora la realizzazione annuale del grano e nelle dolorose susseguenti epoche della fallaza del Raccolto uva e galette non venne neppure più tentata la rifusione del grano mutuato.
Portata da qualche anno questo Onorevole consesso l’attuale Amministrazione al potere mi avvisò immediatamente all’inconveniente; con replicati inviti chiamò i presenti eredi dei vecchi debitori a render conto, ma o non comparvero o comparsi impugnarono la pretesa del C.M.
In tale stato di cose non restavano che i mezzi giudiziali. Ma come esperirli sugli eredi se nessun documento regolare di debito esistette ami, e se per conseguenza nessuna iscrizione fu presa, anche la responsabilità personale è cessata di fatto giacché i debitori e pieggio sono quasi tutti da molto tempo passati a miglior vita? A onor del vero è forza confessare che questo Istituto di Beneficenza, piuttosto che per l’indolenza degli Amministratori, è caduto per la natura stesso del suo Statuto e per la troppa filantropia della sua istituzione.
La completazione di alcune stampiglie a ciò preparate nelle quali si firmava il ricevente ed il pieggio costituivano l’unico documento di debito.
Oggi era Tizio che prestava per formalità la firma di pieggio per Sempronio, e domani Sempronio che la prestava per Tizio.
Sia l’uno che l’altro rappresentavano la vera indigenza e le quarte di grano che venivano mutuate non tornavano più.
Questo andamento poté reggersi finché il popolo si conduceva colla fede, colla morale patriarcale Adamitica, ma non appena che alla operosità, alla virtù primitiva sottentrò l’accidia, il vizio, il raggiro dovette cedere ed ora non ci resta che di lamentarne le conseguenze.
Con replicati rapporti l’attuale Amministrazione diede comunicazione della pendenza alla sua superiorità, la quale ammettendo in massimi l’impotenza della scossita, insisteva però per la presentazione dei consuntivi. Essi non sarebbero stati che la emanazione di prospetti più speciosi che reali, di nessuna conduzione allo scopo, anzi col danno all’Amministrazione delle spese per improntarli.
Compreso ora anche il Governo che queste istituzioni hanno fatto il loro scempio giacché una vera crisi annonaria (scopo precipuo della sua fondazione) non è più possibile attesa la rapidità delle comunicazioni e dei trasporti, e non hanno per conseguenza più ragione di esistere con una circolare della R. prefettura in data 24 maggio p.p. n. 7340 che consigliava la trasformazione di quel grano che ella crede possa ritirare in capitale, la cui scudita annua si abbia poi ad erogare a favore dell’Asilo Infantile.
Ma voi, o Signori, fra i primi in Provincia avete già pensato all’educazione della infanzia, e già da anni caricato sui vostri Bilanci la cifra occorrente per far prosperare questo importante mezzo di sviluppare le tenere menti, d’altronde nel caso nostro ben poco potreste offrire.
È inutile illudersi, Onorevoli Consiglieri, dei 94 scacchi tra frumento, frumentone e miglio che si trova iscritto, come vi dissi retro nei nostri registri, e di cui dal 1848 in avanti non venne fatto incasso di sorta se si eccettua qualche quarta di miglio, io non mi riprometterei di introitare neanche il corrispettivo di una ventina di scacchi di grano che mi darebbe in oggi una somma di capitale di L.300; quindi giacché il Governo desidera in argomento una vostra deliberazione siccome quelli che dovete essere più alla portata di apprezzare lo stato della pendenza ed i bisogni della borgata, vi propongo a semplificazione di amministrazione e di spesa:
– che si sopprima l’Istituto denominato Monte Grano;
– che si sciolga qualunque prestazione in natura;
– che si converta quanto sarà ottenibile in una prestazione annua in denaro garantita con atti regolari sopra beni stabili erogandola a favore della Congregazione di Carità incorporandone in essa l’Amministrazione, sotto il tutolo “cura e mantenimento cronici ricoverati nell’Ospitale locale.”
Credetelo, o Signori, voi in via transitiva corrispondete all’Ospitale l’annua cifra di L.200, appunto per la cura e trattamento de’ cronici, e sta bene tale convenzione, come quelle che toglie di mezzo gli attriti che troppo frequentemente solevano elevarsi tra le due Amministrazioni sul valutamento o meno del cronicismo in taluno dei ricoverati.
Ma se invece aveste a pagare, come ce ne darebbero diritto le vigenti norme, lo importo cura di quanti cronici vengono ricoverati, voi dovreste raddoppiare la cifra atteso il sempre crescente aumento del pauperismo, attesa l’estensione che va sempre più prendendo l’indomito flagello della pellagra.
Ma voi direte, il paese è industriale, ha molti mezzi di occuparsi, ha molte fonti di guadagno. Si, signori, il paese ha aperto molti opifici, anzi pel disimpegno di questi occorrono in luogo, e vi stanziano infatti molti forestieri, ma è appunto per questo che si accalcano maggiormente i miserabili all’Ospitale. Sapete che cosa vi devo dire, finchè vi è lavoro si mangia, e si beve allegramente, e per sopprapiù si bagorda; sopragiunta la malattia il loro rifugio è l’Ospitale.
L’idea della previdenza non entra ancora nei proletari, e questi sono pur troppo la piaga degli stabilimenti di Beneficenza.
Crederei di abusar troppo della vostra sofferenza, se io m estendessi d’avvantaggio in questo argomento; io vi ho detto quel che sento, ora tocca a voi ad ammettere o meno le mie proposte. Palazzolo, lì 3 dicembre 1869”.
Le tre proposte, formulate dal relatore Sufflico, erano messe ai voti ed il Consiglio le approvava all’unanimità. Tempi e circostanza diverse hanno suggerito di destinare sempre ai più poveri, l’ultimo vantaggio che da secoli i Monti granatici ricavavano dal prestito delle biade, cedute nei momenti di carestia e di bisogno in nome della solidarietà e della carità cristiana.
La Voce di Palazzolo, 24 agosto 1973