ECCEZZIONALI RITROVAMENTI SOTTO
IL PAVIMENTO DELLA PIEVE
Quando l’angolo più pittoresco di Piazza Tamanza è stato chiuso nella scorsa primavera, per l’ennesima volta con uno steccato per l’inizio dei lavori di sistemazione del pavimento in cotto della Pieve, fatti con i finanziamenti della Banca popolare locale, nessuno di noi avrebbe pensato che stava per cominciare un’importantissima campagna di scavi. Mi rammarico di non aver tenuto un “diario” degli stessi perché oggi, a distanza di quasi un anno dall’inizio dei lavori, avremmo una documentazione ordinata cronologicamente di ciò che è venuto alla luce e ci aiuterebbe a stabilire i collegamenti fra ciò che si vede e ciò che si deve intuire come esistito in questo luogo, da secoli centro delle manifestazioni religiose dei Palazzolesi e di sepoltura degli stessi.
Una data comunque l’ho segnata ed è quella di giovedì 23 giugno 1977; l’ho segnata, perché allora mi sembrò “storica”, anche se ogni giorno di scavo e ogni successivo ritrovamento faceva diventare solo particolarmente fortunata, non certo la più importante. Dicevo che in quel giovedì pomeriggio, mentre si stava dagli operai dell’Impresa Pagani Pietro, sbancando il materiale di riporto nei pressi della tomba dell’Arciprete Suardi, sulla sinistra della porta principale, apparve a circa un metro di profondità dal piano del pavimento, un marmo chiaro, di circa metri 1,80 x 80 x 30, levigato dallo sfregamento secolare di chi vi aveva camminato sopra e con un segno evidente di una svasatura ricavata come sede del cardine di una porta. Evidentemente il marmo era la piana d’ingresso a un edificio importante. Non si poté liberarla interamente dal terriccio in cui era affondata, si ruppe in vari pezzi, o forse era già rotta e ciò non risultò subito evidente. Appena venne sollevato il primo pezzo, cioè quello di testa, si scoprirono sull’altro verso scolpite figurazioni, fregi e una scritta integra nei caratteri romani risalenti al II° secolo dopo Cristo.
Mi sono soffermato su questo ritrovamento perché ne ho presa nota dettagliata. Per tutti quelli che finora sono stati fatti si potrebbe dire lo steso.
Con questa nota voglio solo informare i lettori delle cose più importanti venute alla luce; sarà necessario infatti il lavoro di esperti in discipline diverse (archeologi, epigrafisti, studiosi di storia dell’arte ecc.) per poter, come dicevo all’inizio, fare il bilancio di tutti i ritrovamenti e, cosa più importante collegarli fra di loro e descrivere gli edifici che ivi sorsero in epoche diverse e valutarne le loro funzioni. Ora possiamo solo elencare:
1) resti dell’abside e dei muri perimetrali della chiesa primitiva (epoca carolingia sec. IX/X) con avanzi di decorazioni del sec. X – tombe della stessa epoca;
2) resti dell’abside a due lobi in pietra lavorata della seconda chiesa (romanica sec. XI/XII) più ampia della precedente, avanzi di muri perimetrali, pilastri e sepolture di quell’epoca;
3) cippo funerario, frammenti di cippi funerari e materiale in cotto di epoca romana, di tombe di varie epoche e a diversi livelli;
4) affreschi del sec. XV sulla parete ovest e a destra entrando dalla porta centrale; e da ultimo una tomba mai violata, posta a circa due metri sotto il livello del pavimento e contenente uno scheletro integro il cui teschio, a un primo esame da parte di un illustro antropologo il prof. Testa_Bappenheim, pare abbia la bella età di tre o quattromila anni.
Dopo la lunga attesa dei sopraluoghi dei soprintendenti e trascorso il tempo necessario al direttore dei lavori arch. Marco Pedrali per effettuare tutti i rilievi, si potrà condurre a compimento la sistemazione del pavimento che sarà collocato allo stesso livello del precedente, e che sarà fatto in modo tale da rendere accessibile anche la parte sottostante, che ormai è diventata più importante, dal punto di vista storico, di quella sovrastante.
Descrizioni dettagliate:
1 – CIPPO FUNERARIO DI EPOCA ROMANA (II. sec. d.C.)
Ritrovato il 23 giugno 1977. dimensioni mm. 1840 x 730x 300. a parere degli esperti è un pezzo di prim’ordine sia per l’arte che per l’epigrafia. Infatti la forma a testa tonda e così ornata non è molto frequente; specialmente il motivo dei leoni alati e a testa d’uccello sono indizi di un simbolismo funerario alquanto esotico. La scritta latina, sciolte le abbreviazioni, si legge così: LUCIO STATIO LUCII FILIO VONTURIA TRIBU FRONTONI SEXVIRO QUATTORVIRO. TESTAMENTO FIERI JUSSIT. Che significa che questa stele funeraria è stata innalzata per volontà testamentaria dello stesso personaggio di cui si parla e cioè Lucio Stazio, figlio di Lucio Frontone della tribù Voturia, che aveva occupato la carica di seviro e quattuorviro.
La tribù Voturia, alla quale apparteneva il nostro personaggio così importante, era proprio del Bergamasco; i quattuorviri erano i magistrati supremi del municipio di Bergamo e vi accedeva chi prima era stato anche seviro, cioè aveva ricoperto una carica politico-religiosa prima di quella municipale. Gli Statii sono attestati a Bergamo in altre iscrizioni; essi sono frequenti anche e Brescia, dove uno appartiene addirittura all’ordine senatorio, e in Valle Camonica.
2 – FRAMMENTO DI CIPPO FUNERARIO
Frammento delle seguenti dimensioni: mm 620 x 400 x 320. fregi in rilievo lettere incise. Ornamento fatto di festoni con motivo di foglie di alloro. Rinvenuto nel mese di giugno del 1977. É un frammento di minore importanza. Dalle poche lettere rimaste si può ricostruire così la parte di epigrafie:
LIUS – FILIUS. FABIA TRIBU
Sulla prima riga ci doveva essere il prenome e il nome del dedicante le stele funeraria, sulla seconda il prenome del padre (figlio di ...) della Tribù Fabia, e sulla terza il cognome ed il resto dell’epigrafie. Si tratta perciò di un personaggio appartenente alla Tribù Fabia, propria questa volta del Bresciano.
3 – FRAMMENTO DI CIPPO FUNERARIO
Rinvenuto il 12 ottobre 1977. dimensioni mm. 610 x 330 x 280. trascurando la prima riga di cui si possono veder pochi segni e svolte le abbreviazioni si legge così: ATECIAE PUBLI FILIAE SEVERAE UXORI SEVERO FILIO QUEM ANNORUM VII CONDIDI
Il frammento è assai importante ed interessante per la formula finale riferentesi al figlio morto da otto anni. L’epigrafe doveva contenere il nome del dedicante e, assai probabilmente anche quello del padre defunto, e nella prima riga di cui restano solo pochi segni, il nome della madre morta e si può perciò leggere ... “ alla madre, alla moglie Severa Atecia, figlia di Pubblio, al figlio Severo che ho sepolto da otto anni”.
La Voce di Palazzolo, 20 gennaio 1978