A proposito di dialetto
pubblicato il: 20/04/2001
da: La voce di palazzolo
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A proposito di "dialetto"

Andando parecchi anni fa in Valle Camonica, un carissimo collega, appena seppe che ero di Palazzolo, mi snocciolò, seduta stante, questa peghiera che i suoi nonni gli raccomandavano di recitare tutte le sere

"Signur de Palasol

disim cosa ghe ol

chesto o chest'oter

me salte in lecc

e no ve dighe oter"

E' chiaro il richiamo al nostro S.Crocefisso conosciuto come miracoloso anche in Valle. L'ho trovata una preghiera di una grande semplicità ed efficacia, semplice e schietta come la fede dei nostri avi.

Un secondo ricordo è legato a mia madre Angela Vavassori,che quando ero bambino, prima di coricarmi la sera, mi faceva imparare il catechismo con domande e risposte in dialetto, il cui senso profondo affiora anche adesso alla mia memoria.

Un terzo episodio riguarda la mia esperienza di maestro. Un anno, in prima elementare , avevo appeso alle pareti dell'aula dei cartelloni colle lettere dell'alfabeto accompagnate da una semplice figura conosciuta dai bambini. Ad esempio la C era il cane, la T era il topo, la Z era lo zoccolo e così via.

Uno scolaretto, che veniva da una famiglia contadina, ma molte famiglie allora parlavano solo il dialetto, messo davanti a questi cartelloni li indicava così: C= cà; T=sorego; Z=sopelo.

Quanta fatica per fargli superare lo scoglio del dialetto e avviarlo all'uso della lingua italiana!

Io stesso,a casa mia, avevo usato solo il dialetto; il papà era "bubà".

Quando andavamo a giocare in uno podere di un nostro compagno di scuola, ci richiamava dicendoci "Andate fuori dal mio ciosso". Altri invece,che in famiglia usavano solo l'italiano, spesso non capivano le nostre espression i dialettali. E allora noi dicevamo che parlavano "l'italiacano".

Man mano passavano gli anni, a scuola arrivavano sempre meno bambini che usavano il dialetto, segno che in famiglia era ormai stato abbandonato.

E le famiglie meno acculturate si facevano vanto di aver insegnato a "parlare italiano" ai propri rampolli.

Tutta questa chiacchierata per riaffermare che non è col collocare i cartelli stradali in dialetto che si risuscita un modo di esprimersi ormai caduto in disuso e abbandonato e per ricordare che le tradizioni dei nostri avi, quelle sì andrebbero salvate, ma di questo parlero’ un'altra volta.

La Voce di Palazzolo, 20 aprile 2001

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