130 anni fa la “luce” a Palazzolo
Facciamo una premessa
Nel settembre di trent’anni fa avevo ricordato i cento anni dell’arrivo della “luce” a Palazzolo. Riprendo ora l’argomento con altri dettagli, convinto, come sono che “il ricorso all’energia elettrica liberava il mondo imprenditoriale dal senso d’inferiorità derivante dall’assenza del carbone in un’epoca nella quale si ripeteva che, senza il carbone non si poteva far nulla. Per una sorta di rivalsa, all’energia elettrica venne attribuito, non senza ragione, l’appellativo di “carbone bianco”. Così G. Vigo nelle sue “Lezioni dal passato”.
L’Italia era stata fra i primi paesi a studiare i principi dell’elettricità e a introdurre l’illuminazione elettrica e Milano, la prima, fra le capitali europee e seconda, nel mondo, solo a New York ad accendere una lampadina. Il 18 marzo 1877 una lampada ad arco, alimentata con dinamo Gramme, posta in cima ad una una torre alta 50 metri, illuminava Piazza del Duomo.
Nel giugno 1883, in via Santa Radegonda, sorge la prima centrale elettrica, alimentata a carbone. L’ostacolo maggiore da superare era costituito dal fatto che l’elettricità doveva essere prodotta nel luogo dove era utilizzata. Non la si poteva ancora trasportare. Si illuminarono perciò solo Piazza Duomo, la Galleria e Piazza della Scala. La vera fortuna dell’Italia, in questo campo, fu la grande disponibilità di acqua che in poco più di 10 anni consentì di passare dalla modesta produzione di 160 milioni di Kwh a oltre 2.200 milioni, più di quanti ne produceva la Francia, più o meno come l’Inghilterra, anche se ancora ben lontana degli 8000 milioni della Germania.
A Palazzolo ardono le prime lampadine
Nello stesso anno, anche Palazzolo ebbe la luce elettrica. Il cotonificio Niggeler e Kupfer, installava una dinamo Tecnomasio a corrente continua (80 Ampere e 110 volt) che, sfruttando il salto d’acqua del ramo dei mulini, accendeva le prime lampadine nel Bresciano. Sette anni dopo, nel 1890, la luce elettrica illuminava le strade vicine.
Prima di al,lora l’illuminazione, sia privata che pubblica, era affidata a candele, a lumi e lanterne ad olio, da qui la produzione nostrana dell’olio “da brusare”.A Palazzolo nel 1840 le strade erano illuminate ad olio: nel 1860 funzionavano 13 lanterne. Nel 1876 i fanali erano 19, aumentati a 24,alimentati a petrolio. All’accensione ed allo spegnimento era addetto un lampionaio pagato del Comune.
Alla relazione che il sindaco di Palazzolo, Adriano Ricci, inviava nel 1890 al Prefetto di Brescia , era unito un “quadro” riassuntivo, che ci permette di cogliere, con un colpo d’occhio, due dati riferiti all’energia utilizzata nelle aziende palazzolesi: 14 caldaie a vapore, che fornivano 141 cavali di potenza e 27 motori idraulici con potenza di 335 cavalli. Nel testo si possono cogliere dettagli interessanti , che ci introducono al tema della forza motrice in uso prima dell’elettricità.
L’industria della calci idrauliche, per produrre annualmente 800 mila quintali di calce e cemento ha jn attività ” 32 grandi forni a fuoco continuo producenti circa 3000 quintali di materia cotta al giorno, la quale viene poi macinata e confezionata in sacchi col mezzo di una serie di frantumatori, Broyeurs, macine orizzontali, macine verticali, elevatori e schiacciatori mossi da 4 turbine della forza di 300 cavalli azionati dall’acqua di canali derivati dal fiume Oglio. Una macchina a vapore della potenza di 60 cavalli resta di scorta pei casi di rottura di qualche turbina o di grande scarsità d’acqua”.
Lo stabilimento Niggeler e Kupfer conta “nientemeno che 6000 fusi colla forza motrice idraulica di 120 cavalli; vi si lavora costantemente giorno e notte; è illuminato colla luce elettrica”. La tessitura comprende il considerevole numero di 127 telai con 40 cavalli di forza motrice idraulica. Avvi in essa un gazometro .”
A dar vita alle filande Cramer “vi concorrono 5 motori, cioè 4 ruote ed una turbina della potenza complessiva di 25 cavalli dinamici, ed in caso di avarie alle medesime e di mancanza d’acqua, vi funzionano 3 motori a vapore”.
La filanda e torcitoio Richembach usa “ un caldaio a vapore della potenza di 6 cavalli dinamici destinato al riscaldamento dell’acqua nelle bacinelle, avvi pure ula forza motrice idraulica di 4 cavalli. Le 40 bacinelle di trattura sono tutte a vapore. Filatoio e torcitoio, annessi incannatoio, stracannatoi, binatoi, innaspatoio, il tutto mosso da ruote ad acqua costrutte nello stabilimento meccanico dei fratelli Gottardi di qui. Esso conta 6000 fusi tra filato e torto. Il filatoio-torcitoio è animato da un motore idraulico della potenza di 10 cavalli di cui 6 per la torcitura e 4 per le operazioni accessorie.”
La Manifattura Bottoni “ si regge colla forza idraulica che mette in moto una ruota ed una turbina, a cui si aggiunge da qualche anno una motrice a vapore raggiungendo così la totalità di 35 cavalli di forza. L’acqua è somministrata dalle seriole Vetra e Fusia”.
Il bottonificio Cella e Regondi “ha una piccolissima forza d’acqua ed un motore a vapore di 16 cavalli ”. La Lanfranchi e Corridori fabbrica bottoni “con una forza idraulica di un cavallo e mezzo”. La ditta Schivardi Antonio “tiene anch’essa una piccola fabbrica di bottoni. Le operazioni però vengono eseguite in Pontoglio con due cavalli e mezzo di forza idraulica”. La conceria di pellami di Francesco Nulli “usufruisce di un motore idraulico colla potenza di 4 cavalli”. La corderia Zanelli “conta 14 macchine sempre in esercizio mediante un motore idraulico della potenza di 3 cavalli”. Il molino a nuovo sistema della ditta F.lli Loda ha un motore idraulico della potenza di 7 cavalli.
Le officine meccaniche e fonderie dispongono di 5 motori per una potenza di 15 cavalli.
Nella cronaca del Cittadino di Brescia del 17 settembre 1892, era annunciato l’inizio dei lavori per l’impianto di due nuove turbine e relativo canale con diga sul fiume Oglio nella località del vecchio molino detto Urì presso Capriolo.
Nel 1893 era realizzata una derivazione di circa 7 metri cubi d’acqua di magra, dei quali però in un primo tempo ne furono utilizzati solo tre, che muovevano una turbina Zust ad asse verticale che trasmetteva l’energia per mezzo di pulegge di tre metri a due alternatori a corrente trifase a 3000 volt. L’impianto era realizzato dalla ditta Alioth di Basilea, e la corrente generata dai due alternatori era trasmessa con due linee a tre fili a Palazzolo. “Una di esse va ad un motore sincrono a 2800 V, che dà energia alla Manifattura Bottoni, l’altra ad un commutatore che trasforma la corrente alternata in corrente continua per l’illuminazione dello stabilimento e del paese”. Si tratta della prima trasmissione di elettricità a distanza a corrente trifase eseguita in Italia.
Nel 1897 l’illuminazione arriva nello stabilimento Zanelli Rocco, che produce fili elettrici.
Nel 1905 la Società Elettrica Bresciana rilevava gli impianti di Capriolo e Credaro della società Mulini Urini, che distribuiva l’energia a Palazzolo, Capriolo e Sarnico.
Oggi l’acqua dell’Oglio, da Sarnico ad Urago, è sfruttata da sei impianti idroelettrici: due dalla Niggeler e Kupfer (Paratico e Capriolo), uno dell’Enel a Tagliuno, uno dell’Italcementi a Palazzolo e due della Marzoli, (Palazzolo e Urago).
Francesco Ghidotti