Il fabbro Candiotti e la bandiera sulla Torre
Ora che si avvicinano le celebrazioni dei 150 anni dell'Unità d'Italia, è stato sollecitato un intervento del Comune per sistemare le carrucole della lancia di San Fedele in modo che la bandiera tricolore vi possa essere innalzata e non appoggiata alla balaustra dell'ultimo balcone della Torre, come avviene ora.
A questo proposito sentite quello che scriveva nel 1994 Battista Benedetti nel suo libro "Abitare in Piazza, ricordi della Palazzolo. Anni venti".
Intanto il partito fascista aumentava il numero dei suoi iscritti e le manifestazioni di folclore militaresco si andavano moltiplicando, con gagliardetti e bandiere, sempre più numerosi. La grande bandiera che sventolava sulla Torre del Popolo, era appoggiata sull'ultima balaustra, sotto San Fedele. Non sufficientemente in alto per le grandi occasioni.
Quasi volessero strumentalizzare anche il Santo protettore del paese, con l'offerta di una buona ricompensa, andavano da tempo cercando delle persone che potessero attrezzare la sua lancia e usarla come asta porta-bandiera, e alzavano sempre più la posta, perchè non trovavano concorrenti.
Quando la quota-premio arrivò ad una buona cifra, si fecero avanti due persone del paese, decise a tentare la difficile impresa.
C'era a Palazzolo, a metà salita di via Gorini, la bottega di un fabbro, che si poteva considerare un artista del ferro battuto; si chiamava Candiotti, ma la gente lo conosceva per "Cangioto", ed era considerato maestro nel suo mestiere.
La sua specialità erano le ringhiere dei balconi, i cancelli e le inferriate di ville ed oggetti ornamentali; le sue creazioni di valore erano i fiori e le loro foglie, le cose che gli venivano meglio erano le rose con i petali accostati ma un poco aperti in alto, che poi venivano conglobati allo stelo, tanto da sembrare vere. Da notare che tutti questi lavori venivano eseguiti senza saldatura, che forse non esisteva ancora. Per tutte le creazioni in ferro che dovevano essere unite, si usavano la chiodatura e la fusione.
Mi spiegherò meglio: i due pezzi, che dovevano fare corpo unico, venivano scaldati con la fucina nei punti di unione, portandoli al grado di fusione e sovrapponendoli; erano quindi sottoposti a martellamento, per far penetrare le fibre le une nelle altre, formando un corpo unico.
Non era lui l'uomo che doveva partecipare all'impresa, essendo già vecchio di età, almeno a me così sembrava, ma un giovane suo aiutante di bottega, che aveva quasi adottato fin da piccolo, poiché era rimasto orfano di genitori; si chiamava Angelo Belotti, detto, come il suo tutore, Angel Cangioto.
E' stato dopo tanto tempo e solo per essergli diventato amico, anche se di differente età, che mi confidò questa memorabile avventura. Pur facendo egli parte dell'impresa che sto per raccontare, era principalmente il fabbro che doveva approntare tutto quanto era necessario per attrezzare l'asta di San Fedele, per poterla usare come alzabandiera. Occorreva una seconda persona, alquanto temeraria, che avesse il coraggio di scalare la imponente statua, e lo trovò nel coetaneo Giulio Torri, chiamato comunemente "Giulio Sorec".
Tale soprannome si addiceva proprio alla sua innata vivacità e al suo temperamento. Al tempo di quella impresa faceva il falegname presso la rinomata falegnameria Costa, sita in via della Maddalena.
L'impresa aveva la scadenza fissa: il 28 Ottobre (festeggiatissimo anniversario della Marcia su Roma, a cui i gerarchi palazzolesi tenevano molto) e doveva essere una sorpresa.
Ormai a parola data ed a contratto fatto bisognava onorare l'accordo, e perciò preparare tutto l'occorrente, studiare un piano fin nei minimi dettagli ed aspettare la serata favorevole.
Si fecero prima degli accurati e preziosi sopralluoghi, mentre in gran segreto si portava il materiale occorrente fino ai piedi della statua, che doveva essere violata. Si attese la nebbia sottile, che in quella notte di ottobre arrivò puntuale, come una cosa necessaria per loro: era un aiuto per le vertigini che anche i piu esperti, provano a novanta metri di altezza. Quasi per scaramanzia aspettarono la mezzanotte, quando tutto intorno è silenzio e pace, e non chiesero aiuto a nessuno, perchè gli altri non dovevano sapere, evitando così occhi indiscreti e curiosi.
Con l'ausilio di una lunga pertica, infilarono il cappio di una corda al collo del Santo, che assicurò il Torri da una eventuale caduta: questi, coperta la testa con un passamontagna e con la sacca da scalatore contenente alcune cordicelle ed altri arnesi necessari, iniziò prudentemente ad arrampicarsi, favorito dalla luce di una lanterna, che il Belotti gli teneva in alto.
Con calma e molta prudenza, non essendo ammessi errori, il "Sorec" si era assicurato bene, portandosi anche una scaletta da rocciatori, che risultò molto utile e quasi indispensabile per la sua discesa, mentre il Belotti gli passava man mano i pezzi richiesti per essere fissati alla barra, che sembrava flettere con l'avvitamento delle piastre che facevano da supporto alle carrucole.
Anche la torre, con il soffiare del vento, oscillava quel tanto da mettere paura a chiunque e così il temerario ogni tanto prendeva una pausa, abbracciandosi al San Fedele come un bambino si aggrappa alla madre nei momenti di pericolo.
Assieme a tutto l'armamentario, si erano portati una bottiglia di buon vino che, a fatica ultimata, scolarono in un cantuccio, riparati dall'aria ormai fredda di quell'alba d'autunno.
Ed arrivò anche il reclamizzato giorno, il 28 Ottobre, che veniva chiamato "Festa dei Fasci di combattimento": era il massimo delle adunate, che trovavano il loro tripudio nell'immancabile discorso sempre inneggiante al Duce, che teneva l'esimio professor Leali, vestito della pomposa divisa di orbace. Era attorniato dai capi dalle decorate divise, che ogni tanto guardavano il tricolore, messo nel punto piu alto della Torre e si mostrarono loro come artefici di tanta prodezza".
Il Giornale di Palazzolo,1 luglio 2010