Ai muraschi
Per la prima volta, ieri sera, ho partecipato alla Magnamura. Mi sono trovato insieme a duecento di voi che, da anni, organizzate questa serata.
Mi sono seduto e avevo di fronte un portone chiuso; sapevo che prima c’era un cancelletto di legno ed era possibile entrare nell’androne, dove esiste un’edicola colla Madonna, col suo bravo lumino acceso. E un cartiglio dipinto con scritto “Vicolo della fortuna”.
Mia moglie, dal lato opposto del tavolo, mi descriveva il cortile che aveva davanti, della famiglia Belotti, discendenti del Pì de la Dora, con fiori alle porte e sui davanzali delle finestre.
Poi sono andato a vedere la mia nipotina Benedetta che, con altri bambini, assisteva ad uno spettacolo nel cortile di casa Rondi. Anche lì un portone che si é aperto per l’occasione: un’altra prospettiva, un portico con colonnato in cattive condizioni.
Il tratto di via occupato dai tavoli iniziava dall’interno della Porta di Mura e terminava all’altezza del Vicolo Scarmuccino, detto “el bus”. Mentre andavo e venivo a salutare amici e conoscenti, immaginavo la vita di quel tratto di strada, da quella notte del 1467 quando il medico Carrara chiedeva di entrare nella terra e ne era impedito dai terrazzani, timorosi che portasse la peste,lui che proclamava di esser stato chiamato per curarla.
Fuori dal “Purtù” c’erano le mura, che circondavano questa parte di Palazzolo, di là dall’Oglio.
Fu al tempo dell’Austria (anni 1820-25) che Via Mura perse la sua identità, perché venne aperta la nuova strada dal ponte a San Sebastiano.
Prima di allora tutte le case, che stanno sul lato di mattina, confinavano colla sponda del fiume e gli ingressi avvenivano attraverso i trasandelli, alcuni dei quali esistono ancora, che permettevano alle famiglie di riversarsi sulla via pubblica.
Per secoli tutto il traffico: passaggio di eserciti, di corrieri, di cortei regali, di mendicanti, entrava dal “Purtù”, seguiva la via, poi a destra per portarsi al ponte. Era la vita, che si svolgeva davanti alle numerose botteghe che si aprivano sulla strada.
Sul lato di sera le case avevano cortili interni e pianetti coltivati a orti e vigneti. Ancora oggi, dal cortile del Galignani, si vedono questi orti e questi spazi verdi.
Non sono ancora riuscito a definire il percorso che le carrozze facevano per arrivare al “Purtù”. Molte strade vi convergevano: via Palosco, via Dogane, via Cesarina, via Fabbri. Quando si aprì la nuova strada, tutto il traffico si spostò lì per comodità dei viandanti. E la Via Mura cominciò a morire.
Ci fu un bel giorno in cui i Muraschi riuscirono finalmente a godersi lo spettacolo del fiume, prima riservato ai proprietari dei terreni e delle case a sera dell’Oglio. Tutti, si ricorda, nelle sere di giugno, come l’odierna, si sedevano sul muretto della Rosta per godersi il fresco e il panorama, mai visto così vicino.
A questo ho pensato mentre aspettavo che arrivasse il dolce.
Il giornale di Palazzolo, 1 settembre 2010