"oggi i signori nobili si son ribellati..."
pubblicato il: 01/05/1991
da: La prov. di brescia

“OGGI I SIGNORI NOBILI SI SONO RIBELLATI…”

Assieme alla primavera del 1797, arriva per i giacobini locali il giorno della ribellione alla Repubblica Veneta.

“Lì 14 marzo 1797. Martedì. Oggi i sigg. Nobb. Bergamaschi si sono ribellati dalla nostra buona Repubblica ed hanno messo la coccarda francese; hanno cacciato via il Capitanio, Vice Podestà, fanteria e cavalleria ed hanno messi in piazza vari cannoni…

Lì 16 detto. Giovedì. Oggi sono arrivati li soldati che erano a Bergamo dai nostri e partono domani per Brescia. Dicesi che li suddetti nobili bergamaschi siano andati dal Vescovo e con armi alla mano lo hanno fatto giurar fedeltà alla Repubblica Francese.

Lì 17 detto. Venerdì. Ieri dicesi che molti giacobini (tali si chiamano i partitanti francesi) con suoni musicali in strumenti hanno piantato l’albero della libertà (o per meglio dire della eterna schiavitù)”.

Così Giovanni Pezzoni narra gli eventi che segnarono la fine della dominazione veneta a Bergamo. Eventi che spinsero i nostri rivoluzionari a uscire allo scoperto e a prendere in mano la situazione.

Il primo atto fu di correre alle campane per dare l’annuncio della rivolta. Lo scampanìo, come scrive il cronista Brognoli nel suo ‘Diario’, spaventò i Bergamaschi, parte dei quali fece dietro-front non avendo bene capito se le campane suonassero in segno d’allarme o di evviva.

Palazzolo insorse poche ore prima di Brescia, e i rivoluzionari locali trasmisero ai Cittadini rappresentanti del Sovrano Popolo Bresciano una nobile mozione che la Municipalità provvisoria accolse e in grata riconoscenza e memoria del patriottismo dei Cittadini di Palazzolo ne decretarono la stampa.

‘Lì 23 detto. Giovedì. Questa mattina sono state affisse varie proclame, in una delle quali eranvi i nomi di quelli, che osarono tradire anche la nostra patria e questi sono: don Lelio Conti, don Giovanni Battista Casagrande, il sig. Cedono Muzio, il sig. Andrea Costa, il sig. Bonafino Conti, il sig. Giuseppe Torri con i suoi figli Vincenzo e Luigi; i due fratelli Luigi e Giuseppe Prestini, Felice Pighetti e giurarono a Dio di non riconoscere per altro sovrano che il Popolo di Brescia, il presidente di Brescia è il sig. Soardi. Il nuovo governo comanda che ogni individuo porti sul cappello la coccarda di tre colori: bianca, rossa e verde.’ Così racconta Pezzoni che, testimone di quegli accadimenti, aveva scritto gli ‘Annali’ della sua patria, Palazzolo, ‘per far vedere ai posteri lo spirito instancabile dei suoi predecessori… i grandi scompigli in cui si è sempre trovata; i partiti che hanno sempre sopra di essa a suo danno predominato, le strane cose che accaddero e che di giorno in giorno van accadendo’.

Da buon giornalista, come si dichiara, Pezzoni avverte che non lo si rimproveri se scrive “ogni minutissima cosa, giacché ogni memoria, sebbene piccola a quelli che ne furono testimoni, a posteriori poi reca piacere a saperla; chi non sa che quasi sempre i grandi avvenimenti da piccoli e trascurati accidenti sogliono derivare ed avere origine?”

Infatti nelle sue pagine sono raccolti fatti di ‘nera’: incidenti, uccisioni, allagamenti dell’Oglio, pestilenze, carestie; vengono esposte considerazioni sull’amministrazione della giustizia, sui soprusi del Duranti verso il popolo minuto; trovano eco le divisioni fra le famiglie coi loro strascichi di odi e rancori; è segnalata la presenza di speculatori nei tempi di carestia ed anche lo sciopero dei consiglieri, che disertano le sedute per ostacolare le deliberazioni del Consiglio comunale.

In una ‘digressione’, come egli la chiama, espone considerazioni sulla economia locale: “Prima dell’anno 1790 il nostro paese aveva un grande commercio, di modo che v’erano credo tre dogane: tutta la mercanzia che andava da Venezia a Milano e viceversa passava per Palazzolo; è impossibile lo spiegare la quantità di roba che passava; ma dopo l’anno 1790 che fecero lo stradone che da Brescia va a Chiari, il nostro paese fu privato di tutto questo commercio, passando il tutto per Chiari ed ora non vi rimane che quella poca mercanzia che passa per Bergamo”.

Pezzoni non si esime dal fare delle considerazioni “sulle grandi miserie in cui si trovò la nostra patria nel 1801: ma non furono mai così grandi come al presente sebbene le biade non siano all’enorme prezzo di quell’anno: è tale la povertà e la calamità che pare incredibile come faccino a sostentarsi tanti e tanti individui”.

Benché egli affermi di voler esporre i fatti ‘al nudo’, limitandosi alla pura verità, ‘lungi da me sarà ogni spirito di partito’, non sfugge al desiderio di manifestare il suo fastidio verso la dominazione francese. Egli ricorda ‘quanti Te Deum da questa epoca fino alla distruzione del governo francese si sono cantati, per ogni piccola cosa si cantava il Te Deum e credo che ascenda il numero dei cantati a 59. Tale era la politica del cessato governo. Come pure tutti i momenti si ordinavano pubbliche preghiere o per la gravidanza o per il parto della Vice Regina, della imperatrice o nei tempi di guerra, e per la conservazione di Napoleone. Dopo tutte le messe cantate conveniva recitare molte volte un’orazione nonchè nelle messe private molte volte veniva ordinato da farsi lo steso. Si cercava così di darla ad intendere ai popoli,ma la prigionia del Papa, lo scioglimento dei ceti religiosi, lo spoglio delle chiese,i beni del benefizii divorati erano argomenti troppo parlanti per conoscere appieno l’intenzione di chi ci governa’.

Palazzolese, di famiglia originaria di Calcinate nel bergamaso, insieme ai famigliari di professione commerciante e spedizioniere, si mostra dotato di buona cultura ed è informato degli avvenimenti europei dell’epoca attraverso l’assidua lettura dei ‘fogli’ di Lugano ed i contatti quotidiani con corrieri e viaggiatori.

Mettendo insieme il contenuto dei suoi ‘Annali’ , che copre gli anni dal 1775 al 1815, con quanto Vincenzo Rosa aveva narrato nelle sue ‘Memorie Patrie’ ed altri cronisti locali avevano scritto nei loro ‘diari’, prepara una ‘Istoria dei fatti accaduti nel paese di Palazzolo’ dall’anno 708 al 1815.

Dei tre o quattro quaderni manoscritti, che dovevano contenere quest’opera, due soli erano stati letti e parzialmente utilizzati dagli storici locali, ma anche di questi se n’erano perdute le tracce. In una esposizione di antiquariato di qualche anno fa ricompaiono e vengono acquistati per riportarli a Palazzolo e collocarli fra il materiale archivistico che si va riunendo in vista della nascita della Fondazione Cicogna-Rampana.

In occasione del Natale del 1987 la ‘Istoria del Pezzoni, trascritta e corredata da adeguato apparato critico, viene pubblicata in un volume di 216 pagine a cura del sottoscritto.

L’opera va ad aggiungersi ad altri ‘diari’ sugli eventi della stessa epoca citati dal Da Como nel suo volume ‘La Repubblica bresciana’ o pubblicati dal Guerrini ne ‘Le cronache bresciane inedite’. Va ad arricchire le raccolte archivistiche della Fondazione Cicogna-Rampana che nella sede di Via Garibaldi, custodisce scritti, documenti e quanto ha riferimento con la storia e la vita di Palazzolo.

La Provincia di Brescia, 1 maggio 1991